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La transizione energetico-ambientale e i punti deboli dell’UE.


Il conflitto russo-ucraino mette in luce le contraddizioni della transizione energetico-ambientale e spinge l’UE a un maggior pragmatismo strategico.


Venerdì 25 febbraio il premier Draghi, nel riferire in Parlamento sulla crisi russo-ucraina, si è concentrato sull’analisi delle molteplici implicazioni della crisi sulla nostra politica energetica: il mix tattico per fare fronte allo scenario peggiore (perdurante interruzione delle forniture), gli errori compiuti nella politica energetica (dovevamo produrre il gas nel nostro Paese e diversificare maggiormente i fornitori esterni), e la spinta alla transizione verde (rimuovere le lungaggini di ordine burocratico per le nuove installazioni di impianti da FER). Quali sono dunque i risvolti del conflitto russo-ucraino e le contraddizioni della transizione energetico-ambientale? Si potrebbe affermare che entrambi spingono l’UE a un maggior pragmatismo strategico?


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I risvolti del conflitto russo-ucraino e le contraddizioni della transizione energetico-ambientale

In questi frenetici e drammatici giorni non si parla d’altro che dell’insensato attacco russo all’Ucraina, e di tutte le conseguenze negative che la guerra porta e porterà con sé: archiviato giornalisticamente il Covid-19 (almeno per ora), si parla solo di strategie militari, delle ragioni degli uni e dei torti degli altri, di SWIFT e di oligarchi russi, di sanzioni e della necessità di essere cauti tatticamente o, al contrario, fermi (strategicamente) nelle proprie posizioni, sullo sfondo di una nuova crisi mondiale, proprio nel momento in cui stavamo cominciando a rialzare la testa dopo due anni di pandemia.

La crisi nella crisi, quella energetica, nel migliore dei casi rallenterà la ripresa, e complicherà non di poco il cammino verso la transizione ecologica: l’impennata dei prezzi del gas, infatti, sta già dando i suoi frutti.
Avvelenati.

Il lungo autunno caldo della transizione energetico-ambientale

Nelle pagine di Teknoring abbiamo parlato in molte occasioni, e da differenti punti di vista, della crisi energetica ed ambientale, e di come i “potenti della terra” si stiano “dando da fare” per accelerare un percorso – quello della transizione ecologica – che avremmo dovuto cominciare molto prima.

Dal dialogo intergenerazionale Draghi-Thunberg alle “ultime da Glasgow”, che lasciavano intravedere la possibilità di un accordo USA-Cina, passando attraverso l’analisi del cambiamento climatico che, nel corso del tempo, ha assunto i connotati di una sfida geopolitica globale, abbiamo cercato di capire dove affondano le radici delle problematiche che oggi sono sotto gli occhi di tutti, ma che per un motivo o per l’altro cercavamo di non vedere.


Le dichiarazioni del Premier Draghi alla Pre-Cop26

“Questa generazione, la vostra generazione, è la più minacciata dai cambiamenti climatici. Avete ragione a chiedere una responsabilizzazione, a chiedere un cambiamento. La transizione ecologica non è una scelta, è una necessità”. Lo ha detto Mario Draghi intervenendo alla Cop26 dei giovani. “Abbiamo solo due possibilità. O affrontiamo adesso i costi di questa transizione. O agiamo dopo pagando un prezzo molto più alto di un disastro climatico”.


Soltanto pochi giorni fa – alla fine di un lungo autunno caldo (non solo in senso politico, ma anche ambientale: quest’anno l’inverno non lo abbiamo proprio visto…) – nel commentare un documento di Nick Stansbury, Head of Climate Solutions di Legal & General Investment Management (LGIM) sula crisi del gas, abbiamo sottolineato come la geopolitica ha sicuramente avuto un ruolo non secondario nel boom dei prezzi, mettendo in risalto, tuttavia, che IL ruolo egemone nella crisi è stato senz’altro giocato dalla totale mancanza di investimenti.

L’altro ieri, una vita fa

Secondo la Commissione europea, l’impennata dei prezzi del gas dovrebbe stimolare gli Stati membri ad accelerare nel processo di transizione energetica, riducendo la dipendenza dai combustibili fossili per aumentare l’utilizzo delle fonti rinnovabili: nell’ottobre dello scorso anno erano queste le parole (d’ordine) che più di tutte circolavano, mentre il nostro Premier si spendeva per:

  • difendere il gas, definito una fonte da preservare fintantoché la presenza delle rinnovabili (come l’eolico e il solare) nel mix energetico non sarà diventata sufficiente a soddisfare il fabbisogno nazionale;
  • limitare gli aumenti del prezzo dell’energia, preservare la ripresa e salvaguardare la transizione ecologica, anche attraverso lo sviluppo di interconnessioni tra Stati e la produzione degli inventari sulle riserve presenti in Europa.

Nel frattempo, in Europa la Commissione sta valutando la possibilità di istituire una riserva strategica europea di gas naturale, il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a studiare il funzionamento dei mercati del gas e dell’elettricità, ed è infuriato il dibattito sul gas e il nucleare nella tassonomia green.


Il mix energetico è una responsabilità nazionale

Il gas naturale occupa oggi una quota superiore al 40 per cento nel sistema italiano. La Commissione europea non stabilisce quote precise di ripartizione delle fonti nei vari mix nazionali, lasciando ai singoli governi la scelta sulle proporzioni da dare a rinnovabili, gas, nucleare o altro.


L’intervento di ampia portata e l’ennesima contingenza

Poche settimane (una vita) fa (il 9 febbraio 2022), il presidente del Consiglio ha affermato che “il presente ci fa vedere una realtà caratterizzata dalle difficoltà che famiglie e imprese hanno per i prezzi dell’energia elettrica. Il Governo sta preparando un intervento di ampia portata nei prossimi giorni”, aggiungendo che il PNRR “appartiene a tutti gli Italiani. Dobbiamo portarlo avanti con unità, fiducia, determinazione. Lo scorso anno abbiamo raggiunto tutti gli obiettivi previsti. Lo stesso accadrà anche quest’anno […] è una questione di serietà, verso i cittadini, e i nostri partner europei. Ed è una questione di affidabilità, perché la crescita sostenuta, equa, sostenibile è il miglior custode della stabilità”.
Poi, però, all’alba del 24 febbraio la Russia di Putin ha dichiarato guerra all’Ucraina, e tutto è stato azzerato: anche mesi e mesi di parole, di progetti per superare l’impasse energetico-ambientale, di idee per recuperare il tempo perduto.
Tutto.

Un nuovo approccio alla transizione energetico-ambientale tra applausi e critiche

Nelle sue comunicazioni alla Camera, il premier Draghi – nel condannare l’aggressione russa (e bielorussa, non dimentichiamoci di questo dato) all’Ucraina, e nel riconoscere la trasformazione radicale nelle relazioni internazionali e la fondamentale divergenza nella visione sull’ordine internazionale – si è soffermato sulle possibili conseguenze per l’Italia, che dipende fortemente dal gas russo, sottolineando come ciò sia frutto delle politiche energetiche del passato, indicando nella diversificazione delle fonti di approvvigionamento e negli stoccaggi la chiave per risolvere il problema energetico, che va bypassato anche con l’aumento della produzione nazionale di gas e con capacità di rigassificazione.
Fin qui nulla di nuovo e così originale, se fossimo in un Paese non ostaggio di posizionamenti ideologici: la novità sta nell’ultima parte dell’intervento relativo al “superamento” della crisi energetica”, laddove – insieme ad una semplificazione delle procedure per l’autorizzazione dell’installazione degli impianti per le rinnovabili, che non si nega a nessuno – ha annunciato la riapertura delle centrali a carbone, fra gli applausi di alcuni parlamentari. Inevitabili le critiche da parte delle associazioni ambientaliste: “di fronte all’aumento esponenziale dei prezzi del gas, alla guerra e ai possibili problemi di approvvigionamento, occorre reagire in modo strutturale e non con soluzioni a volte false, a volte inammissibili, a volte facili (forse), ma che sicuramente rischiano di perpetuare i problemi e non risolverli”.

La continuità energetica e la discontinuità ambientale

I posizionamenti ideologici – tutti lo sappiamo, e tutti facciamo finta di credere il contrario – non hanno mai portato a grandi risultati. Nella fattispecie, ognuno tira l’acqua al suo mulino, sottolineando le proprie ragioni (che ci sono), ma omettendo intenzionalmente i propri torti e i punti deboli della propria “visione”.

In questo modo si perpetrano i problemi, invece di risolverli: verissimo.
Ma è anche vero che nel giro di pochi giorni il mondo è letteralmente cambiato, e che quegli applausi sono indirizzati alla necessità di dare una risposta a famiglie e imprese, che costituiscono il “lato sociale ed economico” della sostenibilità, che non è e non può essere soltanto ambientale.
Questo per quanto riguarda le ragioni.

Come coniugare continuità energetica e scelte ambientali?

Il problema nasce nella ricercata difficoltà da entrambe le parti di coniugare la continuità energetica con quella relativa alle scelte ambientali, cui si è fatto riferimento: dall’incapacità della politica, detto in altri termini, di implementare politiche di lungo periodo contestualizzate, sinergiche, comuni a livello europeo, e dell’ambientalismo “duro e puro” di guardare al di là delle proprie rivendicazioni, giuste a livello ideologico, impraticabili in un contesto globale di cui fanno parte a pieno titolo, nel bene (come spinta ideale) e nel male (come deriva ideologica).

La logica paneuropea che manca

Ecco, allora, che in un sistema che dovrebbe essere integrato a livello europeo (e non lo è, né integrato, né europeo), basta il famoso battito di ali di una farfalla dall’altra parte del mondo a provocare uno tsunami dalle nostre parti.


La debolezza strategica e militare dell’Europa: con questo titolo si potrebbe riassumere uno degli ultimi “Il punto di Paolo Pagliaro” (intitolato, invece: “Dove sei, Europa?”), nel quale il giornalista, nello snocciolare i dati della supremazia europea in campo economico (12 volte più grande di quella russa), afferma che “tale supremazia è vanificata dalla mancanza di politiche comuni: un esempio vistoso è quello in materia di energia”.

Dice uno studio dell’University College of Dublin che “se la rete di distribuzione venisse ristrutturata non tenendo conto dei confini nazionali, ma agendo in una logica paneuropea, il costo di ridurrebbe del 32%”.
Lo studio – prosegue – “dimostra come il caro bollette non sia legato solo ai costi di produzione ma anche a quelli di stoccaggio e distribuzione”.
Secondo il sito Euractiv, invece, “il prezzo per famiglie ed imprese potrebbe addirittura dimezzarsi e si ridurrebbe drasticamente la dipendenza dal fornitore russo se ci fosse una vera unione dell’energia, con la messa in comune delle riserve e acquisiti congiunti dai paesi produttori, come si è fatto per i vaccini”.

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Caro bollette e interventi caotici: quale strategia bisognerebbe adottare adesso?

L’aumento dei prezzi ha portato a interventi statali caotici ed estemporanei: la causa risiede, come spesso capita, nella logica emergenziale, il cui abbandono significa anche individuare e distinguere nettamente obiettivi e vincoli dell’azione di politica economica.

Solo per dirne una: dal mese di giugno 2021 – da quando, in sostanza, i prezzi dell’energia hanno iniziato una corsa al rialzo di cui oggi non si riesce ad intravedere la fine – il governo è intervenuto ben cinque volte per mitigare gli aumenti, e un sesto decreto è alle porte. È ora di un cambio di passo: misure generalizzate e di breve termine devono cedere il passo ad altre che siano più incisive e selettive.

In particolare, qualunque intervento dovrebbe garantire contemporaneamente che:

  • sia preservato il segnale di prezzo;
  • sia difeso il funzionamento del mercato;
  • non vengano manlevate le imprese dalla responsabilità di farsi carico dei loro rischi.

Un insieme di interventi in grado di consentire una transizione “giusta”, che tenga conto non solo del fatto che ci sono aziende più energivore di altre (e, quindi, più esposte in momenti come quello he stiamo vivendo), ma anche del fatto che – se gli interventi non sono equilibrati – rischiano di penalizzare le nostre imprese rispetto a quelle estere, dove le imprese concorrenti godono di trattamenti di sostegno importanti.

Per questo occorre:

  • sostenere le imprese in questa difficile congiuntura, ma senza dar luogo a situazioni di dipendenza dal sussidio;
  • adottare misure che siano compatibili con l’assetto di mercato, in cui i prezzi dell’energia sono liberi e si formano attraverso l’incrocio di domanda e offerta;
  • non perdere di vista l’obiettivo di promuovere nel lungo termine l’aumento dell’offerta di energia (gas e rinnovabili) per rimuovere le cause del problema e centrare gli obiettivi climatici europei.
O, per usare le parole del ministro Roberto Cingolani, occorre “rendere la transizione giusta non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale”.

Né più, né meno, di quanto abbiamo sostenute nelle pagine della nostra rivista, quando abbiamo sottolineato l’importanza delle molteplici sostenibilità.


Fonte: teknoring