Architettura Computa & Compara News

I balconi uniti o ampliati necessitano di permesso di costruire


L’unione di due balconi non è un intervento realizzabile in edilizia libera ma si qualifica come ristrutturazione edilizia.


L’unione di due balconi è classificabile come intervento di ristrutturazione edilizia.

La trasformazione di due preesistenti balconi in un unico balcone implica la realizzazione di nuove superfici e necessita del previo rilascio del permesso di costruire, la cui assenza legittima l’irrogazione della sanzione ripristinatoria è quanto stabilito dal Consiglio di Stato, Sez. VI, 23/3/2022, n. 2141.


Sponsor Computaecompara.it

Le opere realizzate e l’individuazione del titolo abilitativo

Le opere abusivamente realizzate consistono nella trasformazione di due preesistenti balconi in un unico balcone mediante posa in opera di una soletta di congiunzione in cemento armato, con conseguente modifica dei prospetti dell’edificio, influendo sul suo aspetto esterno, in specie nel suo profilo estetico-architettonico.

Ad avviso del ricorrente si trattava di opere di manutenzione ordinaria e, dunque, rientranti nelle categorie di interventi realizzabili in edilizia libera.

Di diverso avviso il Comune e, successivamente, i giudici amministrativi.

Perché l’unione di due balconi non è un intervento realizzabile in edilizia libera?

In primo luogo, è stato osservato che gli interventi contestati hanno determinato la formazione di ulteriore superficie accessoria, all’esterno del volume del fabbricato, rispetto a quanto previsto dall’originario titolo, rendendo impossibile una loro categorizzazione come interventi di manutenzione ordinaria.

Gli interventi di manutenzione ordinaria, infatti, comprendono le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.

Nella decisione, il Consiglio di Stato ha altresì valorizzato l’intervenuta modifica del prospetto dell’edificio e, dunque, del suo sviluppo verticale, per escludere che l’unione di due balconi possa qualificarsi come intervento di manutenzione straordinaria. Ciò, in particolare, è stato ritenuto un elemento di alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile.

Tale alterazione è incompatibile con la categoria della manutenzione straordinaria ma è elemento che caratterizza gli interventi che rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380/2001.

Categoria nella quale è stato ricondotto l’intervento edilizio di trasformazione di due preesistenti balconi in un unico balcone.

L’intervento di ristrutturazione edilizia e la necessità del permesso di costruire

La sentenza in commento, dunque, chiarisce le opere di trasformazione di due preesistenti balconi in un unico balcone devono qualificarsi “interventi di ristrutturazione edilizia” poiché idonee sia a variare la superficie accessoria aggettante, sia a modificare i prospetti, con alterazione della facciata.

Da ciò deriva che gli interventi in oggetto avrebbero dovuto essere accompagnati dalla richiesta di permesso di costruire, in coerenza con altri precedenti giurisprudenziali relativi anche alla modifica dei prospetti.

Ciò chiarito, il Consiglio di Stato non ha potuto che ritenere corretta l’ordinanza di demolizione emanata nei confronti dei proprietari responsabili dell’attività di ristrutturazione edilizia sine titulo in quanto ipotesi  assoggettabile a sanzione ripristinatoria ex art. 33 d.P.R. n. 380/2001.

Nel caso di specie, ancora, non ricorrevano neppure le ipotesi per l’applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva alla quale si può fare ricorso quando emergano difficoltà tecniche in sede di esecuzione della demolizione.

E se l’intervento di unione dei balconi fosse stato risalente nel tempo?

I ricorrenti hanno tentato di invocare a proprio vantaggio la risalenza nel tempo delle opere in contestazione, in particolare, che dette opere fossero antecedenti al 1967 – momento a partire dal quale si è introdotto il regime amministrativo autorizzatorio in materia edilizia.

Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha ribadito come in tale circostanza, è onere del privato dimostrare il tempo di ultimazione delle opere edilizie con prove rigorose, fondate su documentazione certa e univoca ed elementi oggettivi.

Diversamente, come anche ha ritenuto la sentenza in commento, non si raggiungerà la prova della preesistenza delle opere.


Fonte: teknoring