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Permesso di costruire in deroga: quando non opera il silenzio-assenso


Il permesso di costruire in deroga è un istituto di carattere eccezionale, che richiede una delibera del Consiglio comunale.


Il Consiglio di Stato, Sezione IV, nella sentenza n. 616 del 28 gennaio 2022, esclude l’operatività del silenzio-assenso nei casi di permesso di costruire in deroga, in considerazione della specialità del percorso procedurale che connota tale fattispecie, in cui si innesta una imprescindibile valutazione ampiamente discrezionale del Consiglio comunale in ordine all’interesse pubblico dell’intervento.

Il caso trattato nella sentenza riguarda il ricorso delle proprietarie di un terreno agricolo, per l’accertamento dell’avvenuta formazione del silenzio-assenso sull’istanza di permesso di costruire in deroga al PRGC, presentata per la realizzazione di cinque villette residenziali per un totale di venti unità abitative, con rimozione delle preesistenti serre florovivaistiche e contestuale modificazione della destinazione d’uso da “aree per attività produttiva di tipologia agro-industriale” a “residenziale”, con utilizzo della prevista premialità del 10% di aumento della SUL.

La tesi delle ricorrenti

Le ricorrenti impugnavano anche la deliberazione del Consiglio comunale recante parere negativo sull’istanza di permesso di costruire in deroga. Il Tar Piemonte aveva respinto il ricorso e quindi le ricorrenti avevano proposto appello sostenendo che:

  •   l’istituto del silenzio-assenso, in quanto divenuto di applicazione generalizzata, doveva essere applicato anche nel caso in esame;

  •   non sussistono vincoli di legge all’applicazione dell’istituto, fatta eccezione per i soli procedimenti aventi ad oggetto “interessi sensibili”;

  •   l’applicabilità del silenzio-assenso non sarebbe esclusa neanche dalla previsione che, nell’ambito del procedimento derogatorio, debba essere acquisito, come atto endoprocedimentale, il parere del Consiglio comunale.

Un altro motivo di appello riguardava la contestazione della qualificazione del progetto operata dal parere negativo del Consiglio comunale come “nuova costruzione”, quindi non autorizzabile in via derogatoria, in quanto la demolizione delle serre abbandonate (nelle quali originariamente si svolgeva l’attività produttiva florovivaistica) e la sostituzione con alcune villette, composte da piano terra e primo piano, rientrerebbe in linea generale nella categoria della ristrutturazione edilizia.

L’operatività del silenzio-assenso

Il Consiglio di Stato ha ritenuto infondati i motivi dell’appello e pertanto lo ha respinto, condividendo l’avviso del primo giudice, che aveva escluso l’operatività del silenzio-assenso alle ipotesi di permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici. Infatti, secondo la costante giurisprudenza amministrativa:
  •  la formazione del silenzio-assenso postula la piena conformità dell’istanza alla normativa e alla strumentazione urbanistica ed edilizia di riferimento;

  •  il permesso di costruire in deroga di cui all’art. 14 del dpr n. 380 del 6 giugno 2001, è un istituto di carattere eccezionale rispetto all’ordinario titolo edilizio e rappresenta l’espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale; in particolare, in tale procedimento il Consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l’interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l’interesse costruttivo.
Come ogni altra scelta pianificatoria, la valutazione di interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell’ampia discrezionalità tecnica di cui l’Amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall’evidente travisamento dei fatti.

Considerata l’inapplicabilità dell’istituto del silenzio-assenso al caso esame, la sentenza esclude che, a fronte dell’istanza delle ricorrenti relativa ad un progetto in deroga allo strumento urbanistico vigente, il mero trascorrere del tempo possa aver determinato la formazione del provvedimento richiesto.


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La qualificazione del progetto

Per quanto riguarda la qualificazione dell’intervento oggetto della causa, per il Consiglio di Stato è corretta la qualificazione in termini di “nuova costruzione” anziché di “ristrutturazione edilizia”, cui è pervenuto il Consiglio comunale, in modo da escludere la sussistenza dei presupposti per il permesso di costruire in deroga, tra cui la condizione che il mutamento di destinazione d’uso non comporti un aumento della superficie coperta prima della ristrutturazione, tenuto conto:
  •  della radicale modifica del sedime degli edifici a realizzarsi rispetto alle serre preesistenti, dato che i cinque nuovi fabbricati a destinazione residenziale sviluppano una superficie utile lorda pari a 1.388,88 mq, a fronte della superficie sviluppata con le serre preesistenti pari a 1.266,75 mq;

  •  nonché dei limiti della nozione di ristrutturazione edilizia, considerato che l’art. 3, comma 1, lett.d), applicabile in quel tempo, nel ricomprendere tra gli interventi di ristrutturazione edilizia quelli di demolizione di edifici e costruzioni di edifici anche diversi per caratteristiche edilizie e di sagoma, precisa che, a seguito della demolizione e ricostruzione, debba essere mantenuta la stessa volumetria dell’edificio preesistente.

Permesso di costruire in deroga: la discrezionalità dell’Amministrazione comunale

Il Collegio, in considerazione dell’ampia discrezionalità che assiste la valutazione del Consiglio comunale sull’interesse pubblico che dovrebbe giustificare la deroga agli strumenti urbanistici, ritiene non sostenibile la tesi di parte appellante volta a dimostrare la pretestuosità del cambiamento di opinione dell’Amministrazione, che, a suo avviso, risponderebbe ad un mero mutamento di indirizzo politico.
Il precedente schema di deliberazione predisposto dagli uffici comunali, richiamato dall’appellante a sostegno della contraddittorietà della delibera finale, si palesa quale mero atto interno e non definitivo, in quanto tale non vincolante e in ogni momento rivedibile dal Consiglio comunale. 

Ne consegue che la circostanza che la delibera finale, adottando parere negativo, abbia preso una soluzione diametralmente opposta a quella della precedente proposta non muta il giudizio di non manifesta irragionevolezza delle motivazioni addotte a sostegno del diniego impugnato, correttamente rilevato dal Tar.

Fonte: teknoring