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Come calcolare la sanzione pecuniaria in sostituzione della demolizione


Il Consiglio di Stato chiarisce che il regime sanzionatorio è quello vigente al momento della sanzione.


Calcolo sanzione abuso, come va effettuato e quali parametri considerare?

Per il Consiglio di Stato, il regime giuridico del calcolo della sanzione pecuniaria è quello vigente al momento dell’irrogazione della sanzione, e non quello in vigore al tempo dell’abuso. È quanto si legge nella sentenza n. 7857/2021, dove il Supremo Collegio chiarisce anche altri importanti principi, come il rapporto tra certificato di agibilità e titolo edilizio e il parametro di calcolo della sanzione sostituiva ai sensi dell’art. 34 DPR 380/2001.

Il caso

Il proprietario di un immobile in un comune laziale, aveva realizzato opere in difformità della concessione edilizia rilasciata dal Comune, in particolare superando l’altezza massima del fabbricato prevista dal Piano Regolatore Generale.

Le misurazioni eseguite durante il sopralluogo del personale del Comune rilevavano un’altezza di mt 11, 98 contro i 10,50 consentiti dal PRG. Contestato l’abuso, e ritenendo che non fosse possibile demolirlo senza pregiudizio per l’intero fabbricato, il Comune ingiungeva (ai sensi dell’art. 34 DPR 380/2001) al proprietario il pagamento della somma di 160.925,286 Euro.

Il proprietario presentava ricorso al Tar Lazio sostenendo tra le altre cose:

  • la contraddittorietà delle decisioni del comune, che prima aveva rilasciato il certificato di agibilità dell’immobile, che presuppone la sua conformità al permesso a costruire, e poi ne aveva ordinato la demolizione sul presupposto della non conformità
  • il calcolo dell’ammontare della sanzione, era stato commisurato al “doppio dell’incremento del valore”, anziché al “doppio del costo di produzione” della parte dell’opera realizzata in difformità al permesso a costruire.

Il TAR Lazio rigettava i motivi di ricorso, e il proprietario riproponeva le censure al Consiglio di Stato.

Certificato di agibilità e difformità dell’immobile

Le norme che disciplinano il certificato di agibilità (artt. 24 e 25 del DPR 380/2001, come novellate dall’art. 3 comma 1 lett. i del D.lgs 222/2016) prevedono la presentazione di una SCIA.

Ricorda il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, che permesso a costruire e certificato di agibilità sono:

  • collegati a presupposti diversi
  • danno vita a conseguenze disciplinari diverse e non sovrapponibili.
Il certificato di agibilità ha infatti la funzione di accertare il rispetto delle norme tecniche in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti. Il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è invece oggetto della specifica funzione del titolo edilizio, “ con la conseguenza che i diversi piani possano convivere, sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative, sia in quella patologica di una loro divergenza. In sostanza, la diversa struttura e funzione dei due titoli esclude non solo che i suddetti certificati possano avere valenza sostitutiva dei titoli edilizi ma anche che possa sorgere un affidamento meritevole di protezione giuridica in ordine alla legittimità degli interventi edilizi effettuati”
Pur ribadendo l’inevitabile collegamento funzionale tra certificato di agibilità e titolo edilizio, dal momento che il primo presuppone il secondo, il Consiglio di Stato, chiarisce che la validità e l’efficacia del titolo edilizio condizionano quelle del certificato di agibilità. Nel caso esaminato dunque, dal silenzio dell’amministrazione sulla richiesta di agibilità (secondo le norme vigenti all’epoca) non poteva evincersi il rilascio dello stesso con effetto sanante sulle opere illegittimamente realizzate.

Il regime sanzionatorio è quello vigente al momento della sanzione

Il Regolamento edilizio e le regole ivi descritte erano successive alla commissione dell’abuso: secondo il ricorrente non potevano quindi essere applicate retroattivamente.

Al contrario, il Consiglio di Stato ha chiarito che il regime sanzionatorio applicabile agli abusi è quello vigente al momento della sanzione e non quello in vigore all’epoca di consumazione dell’abuso (secondo il principio del tempus regit actum). Pertanto, “la natura della sanzione demolitoria (così come di quella pecuniaria ad essa sostituibile), finalizzata a riportare in pristino la situazione esistente e ad eliminare opere abusive in contrasto con l’ordinato assetto del territorio, impedisce di ascrivere la stessa al genus delle pene afflittive, cui propriamente si attaglia il divieto di retroattività”.

Questa conclusione si giustifica in ragione della natura permanente dell’illecito edilizio che “si pone in perdurante contrasto con le norme tese al governo del territorio sino al momento in cui non venga ripristinata la situazione preesistente”. Giustificando quindi l’esercizio del potere di repressione anche retroattivamente, per fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della norma che contiene tale potere

Calcolo sanzione abuso edilizio

Altra doglianza del ricorrente riguardava il calcolo della sanzione pecuniaria. Il Regolamento comunale prevedeva infatti di:

  • utilizzare come base di calcolo il valore di mercato dell’immobile (il doppio dell’incremento di valore di mercato),
  • nel caso in cui non sia possibile stabilire l’incremento di valore, si applicano le sanzioni fisse previste dal Regolamento e parametrate all’aumento di cubatura eccedente il progetto autorizzato.

Dal momento che nel caso di specie, secondo il ricorrente, era impossibile individuare un incremento di valore di mercato, perché non erano stati realizzati piani ulteriori, soppalchi o nuovi vani, si sarebbero dovute applicare le sanzioni fisse stabilite dal Regolamento comunale. L’importo della sanzione sarebbe dunque dovuto essere di 7 mila Euro e non di 160 mila, come stabilito dal Comune.

Sempre a detta del ricorrente, non era stata fatta in ogni caso corretta applicazione dell’art. 34 del DPR 380/2001 che nel caso di immobili residenziali prevede di utilizzare per parametro di calcolo non il valore venale dell’immobile, ma il valore del costo di produzione determinato dalla L. 392/1978.

Criteri di calcolo sanzione abuso

La disciplina dell’art. 34 DPR 380/2001 prevede poi che “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione”.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, richiamata nella sentenza in commento, ha ritenuto legittima, l’applicazione, in ossequio al rinvio materiale di cui è fatto oggetto la normativa sull’equo canone ad opera dell’art. 34 , comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001, dei criteri di attualizzazione contemplati dalla stessa normativa.

Il Supremo Collegio ha condiviso quindi l’impostazione del Comune, che per quantificare la sanzione ha considerato l’aumento del valore venale dell’immobile, derivante dalle opere abusive, invece che il semplice valore delle opere abusive realizzate impiegando il criterio indicato dal d.P.R. 26 settembre 1991(“Il costo base di produzione a metro quadrato per gli immobili ultimati nel 1990 è determinato in L. 1.155.00).”

Sia in primo che in secondo grado, il Consiglio di Stato ha ritenuto corretto il procedimento dell’ente, che ha:

  • calcolato la maggiore superficie del fabbricato, ricavandola dal complessivo volume realizzato diviso per la media dell’altezza dei singoli piani
  • moltiplicato tale superficie per il costo di produzione secondo la Legge sull’equo canone
  • raddoppiato il valore ottenuto, in base alla previsione normativa dell’art. 34 DPR 380/2001.

Il Consiglio di Stato ha quindi definitivamente respinto le ragioni del ricorrente.

Consiglio di Stato, sentenza n. 7857/2021


Fonte: teknoring