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Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, cosa cambierà?


La Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, a pochi anni di distanza, subirà un restyling: cosa succederà quando sarà conclusa la fase di consultazione pubblica?

Guardiamo un attimo indietro per capire dove stiamo andando con la Strategia Nazionale per l’Economia Circolare.

Il cammino verso una futuribile economia circolare: l’inquadramento e il posizionamento strategico

Anno 2017. Una vita fa. Un altro mondo. Il ministero dell’ambiente presentava un documento (“Verso un modello di economia circolare per l’Italia”) che aveva l’obiettivo di fornire un “inquadramento generale dell’economia circolare nonché di definire il posizionamento strategico del nostro paese sul tema, in continuità con gli impegni adottati nell’ambito dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, in sede G7 e nell’Unione Europea”.
Con questi termini – aulici e di prospettiva, inconsapevoli di quello che di lì a due anni e poco più sarebbe successo – ci si esprimeva a proposito di un documento che costituiva “un tassello importante per l’attuazione della più ampia Strategia Nazionale per lo sviluppo sostenibile, contribuendo in particolare alla definizione degli obiettivi dell’uso efficiente delle risorse e dei modelli di produzione e consumo sostenibile”.

Il ruolo dell’innovazione

Nel contestualizzare storicamente tale scelta, il Ministero dell’Ambiente spiegava che l’Italia si sarebbe trovata – nel decennio successivo – a dover rispondere “in modo adeguato ed efficace alle complesse dinamiche ambientali e sociali, mantenendo allo stesso tempo la competitività del sistema produttivo”.

Per questo era necessario mettere in atto un cambio di paradigma in grado di:

  •  dare l’avvio ad una nuova politica industriale finalizzata alla sostenibilità e all’innovazione in grado di incrementare la competitività del prodotto e della manifattura italiana;

  •  costringerci anche a ripensare il modo di consumare e fare impresa, a partire dal digitale, dalle tecnologie abilitanti la c.d. industria 4.0, che già allora offrivano “soluzioni per rendere possibili e persino efficienti produzioni più sostenibili e circolari”.

La transizione verso un’economia circolare richiedeva – testuali le parole del Ministero – “un cambiamento strutturale e l’innovazione è il cardine di questo cambiamento”.

Anno 2021: le linee programmatiche per l’aggiornamento della “Strategia nazionale per l’economia circolare”

Anno 2021. Il mondo è cambiato da allora. Decisamente cambiato.
La pandemia ha messo a nudo le debolezze strutturali che allora si faceva finta di ignorare, inquadrandole fra i problemi che strategicamente avremmo dovuto, con calma, mettere a posto.
Se n’è accorto anche il Ministero, che nel frattempo ha cambiato nome, per dare senso a quella fase di transizione verso un nuovo modello di economia. Il nuovo MiTe, infatti, nell’avviso di apertura della consultazione pubblica per la revisione della “strategia Nazionale per l’economia circolare”, ha affermato che “dal 2017 il contesto di riferimento è mutato: è ormai evidente l’urgenza di intervenire per ridurre le emissioni e di contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, sono stati definiti, a livello comunitario nuovi piani e programmi per supportare la transizione verso modelli circolari, il rapido sviluppo tecnologico del settore ha consentito di individuare nuovi settori produttivi in grado di generare catene di valore sostitutive di quelle tradizionali, massimizzando il recupero e il riciclo dei rifiuti”.

Linee strategiche coerenti alle nuove sfide globali

L’urgenza di allora si è trasformata in un’urgenza maggiore, oggi, in sostanza. Per questo il MiTE ha ritenuto “necessario aggiornare le linee strategiche individuate nel 2017 per renderle coerenti alle nuove sfide globali”.
Ed ecco che – nella “consapevolezza” che “l’economia circolare è una sfida epocale che punta all’eco-progettazione di prodotti durevoli e riparabili per prevenire la produzione di rifiuti e massimizzarne il recupero, il riutilizzo e il riciclo per la creazione di nuove “supply chains”, il MiTE sottolinea le chiavi del successo (dato implicitamente per già avvenuto) consistono:
  •  da un lato, nella capacità della pubblica amministrazione, delle imprese e del no-profit di “lavorare in sintonia di intenti” secondo norme più semplici, spedite ed efficienti, e

  •  dall’altro nel “generale aumento di consapevolezza e di partecipazione da parte dei cittadini (soprattutto dei più giovani, vero motore del cambiamento) anche attraverso un inedito sforzo di informazione, comunicazione e educazione nazionale verso la realizzazione di un pieno sviluppo sostenibile”.

Casa dolce casa?

Secondo la Treccani, “Eco-“ è “un ➔prefissoide usato per la composizione di parole derivate dal greco o formate modernamente. A seconda dei casi eco- (derivato dal greco òikos ‘casa’) può assumere tre significati diversi”:
“casa”, per l’appunto;
“ambiente dove si vive”
ai quali si aggiunge la possibilità di usare “eco” come “riduzione dei termini ecologia, ecologico nella composizione di parole come ecomafia (‘gruppi dediti ad attività criminali che hanno un impatto sull’ambiente’) ecomostro (‘costruzione che deturpa il paesaggio’) ecocompatibile (‘compatibile con l’ambiente’) ecocombustibile (‘combustibile rispettoso dell’ambiente’)”.
Ed è proprio in quest’ultima accezione che viene continuamente citato (anche) nel documento di aggiornamento.
Fin dalle premesse, infatti, il documento è tutto un susseguirsi di riferimenti alla ECOnomia circolare, incentrata su ECO-progettazione ed ECO-efficienza, ECO-design, ECO-etichettatura, ECO-sistemi, bioECOnomia (in questo caso c’è sia il bio che l’eco), e via discorrendo. Nelle 68 pagine il “prefissoide” compare ben 533 volte, comprese quelle parti in cui si fa riferimento a studi effettuati o ad aspetti temporali.
Come non notare, infatti, che anche le parole secondo e secolo contengono in nuce il prefissoide più in voga negli ultimi tempi di ripresa e resilienza? Un effetto paradossale, stucchevole e un po’ zuccheroso di un termine indispensabile per ipotizzare un futuro all’insegna delle sostenibilità, ma di cui forse si abusa un po’ troppo.

La (nuova) strategia e il solito armamentario: Piano o piano?

Con la nuova Strategia “si intende definire i nuovi strumenti amministrativi e fiscali per potenziare il mercato delle materie prime seconde, la responsabilità estesa del produttore e del consumatore, la diffusione di pratiche di condivisione e di “prodotto come servizio”, supportare il raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica, definire una roadmap di azioni e di target misurabili di qui al 2040”.
Nello specifico, la nuova strategia comprenderà nuovi sistemi all’avanguardia per la tracciabilità dei rifiuti, revisionati sistemi di tassazione, incentivi al riuso e al riutilizzo, riforme risolutrici e rafforzamenti di strumenti esistenti.
Insomma, tutto l’armamentario delle parole diventate luoghi comuni: basta scorrere il sommario, dove si parla – rigorosamente nell’ordine – di:
  •  presupposti del cambiamento (le sfide, le necessità);


I piani d’azione:

• Piano d’azione europeo per l’economia circolare;
• Piano d’azione per le materie prime critiche;
• Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza;
• Piano per la transizione ecologica;
• Piano d’azione della strategia italiana sulla Bioeconomia


Le varianti del Piano:

Strategia Nazionale sulle plastiche;
• Programma nazionale per la gestione dei rifiuti;
le misure (misura e monitoraggio della circolarità; misure di circolarità di un prodotto o di un servizio; misure di circolarità per la plastica, le Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche);
gli orientamenti strategici, aree di intervento e strumenti (in materia di Eco Design, Bioeconomia, Economia Blu, “materie prime critiche”, Nuovi modelli di business).


  •  contributo dell’Economia Circolare al raggiungimento della neutralità climatica; di strumenti innovativi (Piani d’Azione; regolamento sulla tassonomia; la direttiva Ecodesign; le sinergie – con altre politiche, piani strategici e altri modelli economici innovativi; GPP, Green Public procurement);
simbiosi industriale;
  •  nuovi modelli di consumo;
“strumenti per la transizione”, “qualificazione di processi e prodotti”, “uso efficiente […]”, di strumenti economici e finanziari, di educazione, formazione ed empowerment giovanile e femminile.
Nulla da obiettare, “in punto di diritto”, verrebbe da dire.
Il problema, forse, non sta tanto nell’uso delle parole: belle parole, cosa si può obiettare, quando ci si trova di fronte al cambiamento, alla resilienza, all’efficienza, alle sinergie, al green, alla qualificazione, fino a cotanta pianificazione?
Nulla, veramente nulla.
Se non fosse che non si tratta di concetti filosofici, ma di qualcosa che dovremo (avremmo già dovuto) implementare, che dovremo (avremmo già dovuto) tradurre in azioni, in controlli, in consapevolezza, in cultura.
Vedremo come andrà a finire (dapprima la consultazione, poi la successiva, eventuale rielaborazione alla luce di quanto in quella sede emerso): certo è difficile commentare un simile documento, ammantato della stessa retorica finora utilizzata, che finora ha prodotto ben poca cosa, finendo anzi con l’aggravare la situazione?
Viene però da porsi una domanda: cosa significa piano? A giudicare dai risultati finora (non) ottenuti, più che un sostantivo sembra la prima persona singolare, indicativo presente, di un verbo: quello che denota il nostro incedere (mi auguro inconsapevole, e non strategico).

Fonte: teknoring