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Condono edilizio: che succede se il comune non decide?


Il Consiglio di Stato chiarisce quando l’inerzia del Comune sulla domanda di condono edilizio si qualifica come “silenzio inadempimento”.


Il Consiglio di Stato (Cons. ST. 6453/2021) ha condannato un Comune del Lazio per non aver provveduto sulla domanda di condono edilizio presentata dal proprietario di un immobile, in base al c.d. Terzo Condono edilizio. Il comportamento omissivo dell’amministrazione comunale è stato qualificato come “silenzio inadempimento”.

Domanda di condono edilizio: Il caso

La vicenda giudiziaria ha per protagonista il Comune di Latina, contro il quale è stato promosso ricorso al Tar per non aver risposto alla domanda di condono edilizio presentata ai sensi della L. 326/2003. Cos’era successo? Nell’anno 2004 il proprietario di un immobile aveva avanzato al Comune la domanda di condono degli abusi commessi sul fabbricato e sanabili in virtù del c.d. terzo condono edilizio.

Il Comune non si era pronunciato sulla richiesta. Il privato aveva quindi inviato un atto di invito e diffida, sollecitando l’ente alla conclusione del procedimento. Nemmeno la diffida aveva prodotto effetto; alla prima diffida seguivano altri solleciti, l’ultimo nel 2019. Fino a quando, nel 2020, il proprietario dell’immobile si vedeva costretto a rivolgersi al TAR per chiedere una pronuncia contro il comportamento dell’amministrazione e la condanna al risarcimento del danno subito.

Termine di decadenza annuale per promuovere il ricorso

Il TAR aveva dichiarato irricevibile il ricorso, ritenendo decaduto il ricorrente, per superamento del termine annuale per promuovere ricorso, previsto dall’art. 31 del c.p.a A norma dell’art. 31 comma 2 c.p.a infatti “L’azione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. È fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.”.

Al contrario, il Consiglio di Stato “sulla scorta della lettura più corretta dell’art. 31, comma 2, c.p.a. (cfr. Cons. St., V, n. 4027/2014) e alla luce della richiamata istanza del 20.9.2019, quale ultima di una serie di solleciti” ha ritenuto che il termine di decadenza fosse stato rispettato, e che pertanto il ricorso fosse ricevibile.

La condanna del Comune per silenzio inadempimento

Esaminando il comportamento del Comune, i giudici di Palazzo Spada non hanno dubbi sull’illegittimità dell’omissione. L’ente era rimasto inerte per lungo tempo, senza aver definito il procedimento di condono con un atto positivo di rilascio del titolo o con un atto di diniego, oppure dando riscontro del formarsi del silenzio assenso ove ve ne fossero i presupposti. L’inadempimento si era protratto nel tempo, senza che il Comune avesse dato neppure riscontro alle diffide e ai solleciti del proprietario dell’immobile.

L’inerzia del Comune sulla domanda di condono edilizio è stata qualificata dal Supremo Collegio come “silenzio inadempimento”. Il comportamento illegittimo dell’amministrazione comunale ha determinato l’accoglimento del ricorso del proprietario dell’immobile e la condanna del Comune a pronunciarsi con un provvedimento espresso entro e non oltre 60 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della sentenza.

La domanda al risarcimento del danno

Al contrario non è stata accolta la domanda di risarcimento del danno, per un duplice ordine di motivi. In primo luogo, la domanda era formulata in modo generico, senza precisare che tipo di danni fossero stati subiti e come calcolarne l’ammontare. Inoltre, allo stato, si sarebbe trattato di danni solo “ipotetici”, e non ancora consolidati. Il Consiglio di Stato ha dunque dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria “fatta salva” però “la sua riproponibilità in caso di diniego del condono ovvero qualora l’inerzia dovesse proseguire”.

Consiglio di Stato, sentenza n. 6453/2021


Fonte: teknoring